Con il termine inclusione scolastica, si intende quel processo attraverso il quale la scuola diventa un luogo che risponde ai bisogni di tutti i bambini e non solo di quelli con disabilità o con bisogni educativi speciali.
Ogni alunno ha diritto di sviluppare tutte le proprie potenzialità, usufruendo dei percorsi scolastici e formativi che gli permettano di inserirsi positivamente all interno del tessuto sociale, civile e lavorativo.
L’Italia è una nazione che promuove un sistema scolastico inclusivo, ma, nella realtà della scuola, non sempre il processo d’inclusione è attuato nel modo giusto.
Le difficoltà dell’inclusione scolastica
Chi lavora nella scuola da un po’ di tempo, si renderà facilmente colto dell’esistenza di numerose difficoltà che si incontrano, non solo per quanto riguarda l’inclusione degli alunni disabili, ma anche di altri bambini con bisogni speciali come, per esempio, quelli che vengono da paesi svantaggi dal punto di vista socio-economico, minoranze etniche, oppure che, nonostante presentino difficoltà di apprendimento, non hanno i requisiti sufficienti ad avviare le pratiche per una certificazione.
Tra le difficoltà che maggiormente si riscontrano, ne saranno citate due di particolare importanza: la scarsa collaborazione che, talvolta, emerge tra i soggetti coinvolti nello sviluppo e nella crescita dei bambini (come insegnanti, educatori, genitori e, nel caso di alunni disabili o seguiti dai servizi sociali, anche altre figure professionali esterne al contesto scolastico) e la mancanza di una formazione adeguata di alcuni insegnanti sui temi dell’educazione socio-emotiva e dell’inclusione scolastica.
Collaborazione e confronto
Per quanto riguarda il primo punto, è possibile osservare come, nella scuola, sia ancora troppo presente la divisione tra i soggetti che la “abitano”: insegnante di sostegno ed educatore dovrebbero lavorare costantemente con l’insegnante curricolare, per confrontarsi sulle problematiche che emergono nella classe e non solo occuparsi del bambino disabile a cui sono stati assegnati. Queste tre figure professionali, possiedono competenze diverse tra loro ed è tale diversità, che va intesa come una ricchezza, a permettere di avviare un reale processo d’inclusione. È quindi necessario che insegnanti ed educatori lavorino in team, che condividano idee, che portino le proprie competenze specifiche e che si supportino a vicenda affinché le strategie proposte vengano applicate. Naturalmente, perché ciò avvenga, sarebbe necessario avere a disposizione momenti in cui sia possibile tale confronto e rendere questi momenti obbligatori ma, purtroppo, il sistema attuale non prevede questo tipo lavoro, soprattutto perché l’educatore è sprovvisto di ore da dedicare alla programmazione con gli insegnanti.
Oltre a questo, spesso si riscontra riluttanza, da parte di ognuno dei tre soggetti, ad accogliere i suggerimenti proposti dagli altri, in parte perché implicherebbe l’adozione di modalità e strategie educative e di insegnamento diverse da quelle a cui si è abituati, in parte perché significherebbe far entrare nel proprio spazio di lavoro un’altra persona. Queste resistenze potrebbero provenire da qualunque dei soggetti coinvolti: alcuni insegnanti curricolari vivono come un’invasione al proprio lavoro dover utilizzare le strategie proposte dall’insegnante di sostegno o dall’educatore, anche se utili allo sviluppo del processo inclusivo. Allo stesso modo, diversi educatori non sono disposti ad occuparsi della didattica, perché pensano che non sia di loro competenza o perché non si sentono sufficientemente preparati per occuparsene, nonostante spesso sia impossibile scindere il lavoro educativo da quello sugli apprendimenti, soprattutto in un’ottica di’inclusione del bambino.
Talvolta anche l’insegnante di sostegno non accetta di buon grado i consigli dell’educatore su quali siano le migliori strategie educative da utilizzare per svolgere al meglio il lavoro con l’alunno disabile al quale entrambi sono stati assegnati.
Queste rigidità non fanno altro che rallentare il processo d’inclusione, quando invece la disponibilità a collaborare e ad accettare le idee di chi lavora insieme a noi sarebbe il modo migliore per acquisire strategie efficaci.
A tal proposito, in un’interessante intervista pubblicata in una rivista che tratta temi riguardanti l’inclusione, (Morganti A. , Bisogni umani, evidenze e collaborazione in rete: le chiavi per promuovere l’inclusione, “Difficoltà di Apprendimento e Didattica Inclusiva”, vol.6, n.1, pp. 119-127, Erickson, 2018), l’intervistato David Mitchell ( Professore Aggiunto al College of Education, Università di Canterbury, Christchurch, Nuova Zelanda), spiegava che sarebbe di grande aiuto per insegnanti ed educatori, che:
1) in ogni scuola ci fosse un responsabile, un leader della ricerca, con il compito di identificare quali problemi ci siano, ad esempio il giusto programma da seguire con alunni che hanno una certa disabilità o che presentino specifiche problematiche;
2) in ogni Nazione ci fosse una clearing house, ovvero un posto in cui, attraverso la ricerca, si individuano le pratiche, gli interventi, le strategie migliori da mettere in atto per casi specifici e dove il ricercatore responsabile possa andare, fare domande, chiedere consigli in relazione alle problematiche riscontrare e raccogliere informazioni da riportare a scuola.
In questo modo, sarebbe possibile fornire ad insegnanti ed educatori le strategie più efficaci con l’obbligo, da parte della scuola, di applicarle cosicché si possa continuare a registrare, raccogliere ed analizzare i dati. Così sarebbe possibile costruire una ricerca di base per la clearing house e, quindi, per le scuole.
Un sistema di questo tipo, non solo permetterebbe di accedere alle migliori strategie individuate dalla ricerca, ma assicurerebbe la loro applicazione. All’inizio potrebbe essere vissuto da molti insegnanti ed educatori come una costrizione, ma nel tempo sarebbe visto come una ricchezza e un’opportunità di imparare metodi innovativi e, quindi, un modo per essere costantemente aggiornati.
Formazione
Riguardo a questo ultimo punto, riprendiamo la seconda difficoltà citata all’inizio dell’articolo e cioè la mancanza di una formazione adeguata di alcuni insegnanti sui temi dell’educazione socio-emotiva e dell’inclusione scolastica.
Sarebbe importante e doveroso che ogni insegnante, curricolare o di sostegno, e ogni educatore fosse formato per promuovere l’inclusione. Un’inclusione che non riguardi solo la disabilità, ma tutti i bambini, nella loro unicità. La scuola dovrebbe spostarsi verso un apprendimento personalizzato e, quindi, verso un insegnamento individualizzato. In questo senso è necessaria non solo una formazione specifica, ma anche un continuo aggiornamento. Attraverso una giusta formazione, si può scoprire che molte delle strategie nate per aiutare i bambini con disabilità o con bisogni speciali, possono essere adatte a tutti i bambini. E allo stesso tempo che ne esistono altre rivolte alla classe che sono facilmente adattabili, apportando alcune modifiche, ai singoli casi.
Per fare questo, insegnanti ed educatori devono mettere in campo tutta la loro capacità di giudizio, in modo da capire come la strategia scelta possa essere personalizzata affinché sia efficace.
La ricchezza dell’inclusione
In conclusione, per promuovere l’inclusione all’interno della scuola, sarebbe necessaria molta flessibilità da parte di tutti gli attori coinvolti e soprattutto collaborazione, disponibilità ad ascoltare chi ha una formazione diversa dalla nostra e considerare tale diversità una ricchezza, un’opportunità per imparare. Solo mescolando le differenti competenze e mantenendosi sempre aggiornati sarà possibile individuare le strategie migliori per rispondere ai bisogni di tutti i bambini, individuando le caratteristiche, i punti forza e le fragilità di ognuno.